Ricerca per un mondo migliore

ESSERE CONSAPEVOLI DEL MALE NEL MONDO MA CONCENTRARE L’ATTENZIONE SUL BENE
di Aivanhov
Lo spirito critico è sicuramente una qualità, ma sarebbe preferibile che certe persone imparassero a misurare l’estensione dei danni provocati dalla loro abitudine di porre sempre l’accento sul lato negativo di esseri e cose. Quante amicizie e relazioni si rompono a causa di questa tendenza! Sempre più, le persone si osservano tra loro unicamente per scoprire i difetti, vedono solo ciò che non va nel mondo, sottolineano e commentano soltanto fallimenti e catastrofi.
Contrariamente a ciò che taluni credono, questo non è l’atteggiamento del saggio.
Naturalmente, il saggio non è cieco, vede il male, non si lascia ingannare, ma considera che l’essenziale nella vita e negli esseri sia il bene. Sa quindi che il male esiste, ma non se ne occupa più di tanto. Fissa piuttosto la sua attenzione sul bene, e grazie a questo atteggiamento attira le forze del bene e le amplifica in se stesso, negli altri e nel mondo.
 

Particolarismo e universalismo

 
 

Il mondo oggi è sottoposto a due grandi spinte: la globalizzazione da una parte e la spinta autonomista dall’altra.

C’è una crisi delle nazionalità che attraversa tutti i continenti e singoli paesi. Come fare per risolvere questo problema che si  dibatte tra particolarismo ed universalismo?

Nel particolarismo si ha paura della diversità e quindi c’è l’esaltazione dell’identità con esclusione di tutte le altre. D’altronde secondo Gadamer, la moderna razionalità scientifica-tecnologica è una razionalità livellatrice che non mira alla salvaguardia delle differenze. Ci dovrebbe essere una sintesi tra l’universale e il particolare con l’assunzione del valore della differenza.. E ciò è possibile perché in un dimensione  universale  si deve e si può perfezionare il sistema delle autonomie salvando un patrimonio socio-culturale che è ricchissimo e che si è conservato nel tempo.. Le tentazioni separatiste  portano ad una forma di cieca intolleranza. Ci sono oggi nel mondo settemila popoli, ci possono essere settemila  Stati? A livello religioso si nota che i nuovi movimenti sono tutti fondamentalisti  ed integralisti e questo è paradossale se si pensa agli individui legati da interdipendenza planetaria della quale dobbiamo diventare consapevoli per un nuovo processo di ritribalizzazione dell’umanità. Non è esagerato descrivere questa sfasatura con le parole di Balducci:-Siamo entrati nell’epoca planetaria con una coscienza neolitica. Indubbiamente la nostra coscienza non è alla pari con la situazione storico-culturale che viviamo. L’uomo non ha ancora coscienza  della specie e dell’habitat. Non si auto comprende e non si definisce ancora partendo dal tutto e dall’insieme, perché non è ancora in grado di dire in maniera convinta: Io sono un uomo e  come tale sono anzitutto un membro della famiglia umana e un abitante del pianeta Terra. Ogni altra specificazione viene dopo-

Sorge legittima questa domanda:-E se il diritto fosse centrato sui popoli, come diritto delle genti, anziché sullo Stato-nazione e la sua sovranità?-

Ha detto Jacques Maritain:- La ragione per cui gli uomini vogliono vivere insieme è una ragione positiva e di creazione. Non è perché hanno paura di qualche pericolo. La paura della guerra non è mai stata la ragione per cui gli uomini hanno avuto bisogno di vivere insieme e di formare una società politica per intraprendere in comune un dato compito. Quando gli uomini vorranno vivere insieme in una società mondiale sarà perché avranno la volontà di assolvere un comune compito mondiale-(Angela)

 

Note bibliografiche

Progetto mondialità-A.Nanni

L'Uomo Planetario nella Terra del Tramonto  (parte terza)

Chi fu Ernesto Balducci?

Fu una delle personalità di maggior spicco nella cultura del mondo cattolico italiano nel periodo che accompagnò e seguì il Concilio Vaticano II. Fu legato a Giorgio La Pira, David Maria Turoldo, Lorenzo Milani, Danilo Cubattoli, Silvano Piovanelli, Mario Gozzini, Bruno Borghi, Raffaele Bensi e molti altri cattolici democratici e "di sinistra" vissuti a Firenze tra gli anni cinquanta e gli anni novanta. Intrecciò forti relazioni anche con personalità laiche come Lelio Basso.

Nei primi anni 1950 fondò il "Cenacolo", un'associazione che univa l'assistenza di tipo caritativo a una forte attenzione ai problemi politici e sociali e ai temi teologici e spirituali. L'attività del Cenacolo fu al centro delle iniziative sulla pace promosse da Giorgio La Pira. Balducci fu tra gli estensori dell'appello per il convegno «Pace e civiltà cristiana» del 1954, teso a incoraggiare il dialogo fra culture diverse,

Il 13 gennaio 1963, in seguito ad un articolo-intervista intitolato "La Chiesa e la Patria", su Il giornale del mattino, nel quale aveva difeso l'obiezione di coscienza, come don Danilo Cubattoli e don Lorenzo Milani, tra il 1963 e il 1964 subì un processo, conclusosi con la condanna per apologia di reato e la parallela denuncia al Sant'Uffizio dalle stesse accuse.

Negli anni 1970 fu uno degli artefici del dialogo con il mondo legato al Partito Comunista Italiano in nome dell'abbattimento di molte frontiere culturali e politiche.

Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 la situazione internazionale s’inasprisce e determina un riavvio del riarmo nucleare. In Italia si ha l’istallazione dei missili Cruise a Comiso.

Balducci, oltre all’impegno personale, avviò l’organizzazione dei convegni di Testimonianze, 1981-84 -se vuoi la pace prepara la pace-. In particolare rimproverava gli USA di voler arricchire gli arsenali nucleari per riaffermare la propria egemonia sull’intero pianeta. Condannava l’Italia che con l’accettazione dei missili a Comiso subiva “una violazione dell’articolo 11 della Costituzione e uno svuotamento della sovranità statuale e della democrazia”. Rimproverava alla Chiesa di essere rimasta troppo ancorata a una prospettiva ecclesiocentrica.

Negli anni ottanta fu un ascoltato leader nella campagna per il disarmo, allargando la sua riflessione verso i grandi "temi planetari" dei diritti umani, del rispetto dell'ambiente, della cooperazione, della solidarietà e della pace, in una frontiera culturale tra credenti e non credenti.

La cultura della pace, elaborata da Balducci, “da un lato si configurava come proposta di un nuovo pacifismo istituzionale e dall’altro dava luogo alla costruzione dell’idea dell’uomo planetario”.La complessità della realtà storica chiedeva un rinnovamento radicale del pacifismo e la costituzione di un soggetto politico capace d’inverare nella realtà “l’uomo planetario”. S’imponeva un mutamento culturale assai radicale, capace di avviare una nuova condizione antropologica basata su un’adeguata visione delle interdipendenze planetarie. S’impone “un rapporto di collaborazione fra uomo e uomo, fra civiltà e civiltà, fra cultura e cultura. La cultura della pace diventa così la modalità fondamentale di ogni cultura umana che voglia essere adeguata alla sfida storica attuale”.

A distanza di qualche decennio, per noi cittadini del 2013, si è un po’ attenuato il problema nucleare. Viviamo però in un contesto globalizzato su un pianeta che ha 7 miliardi di abitanti con “ significative” criticità rispetto alle quali la cultura “dell’uomo planetario” si presenta come la sola risorsa

La sintesi dell'"Uomo Planetario" mira a coinvolgere soggetti disparati in nome di una soggettività fondamentale che s'identifica con la specie.

La crisi della modernità spinge Balducci a definire i termini di un patto sociale fondativo della comunità mondiale. La ragione, spogliata della «soggettività iperbolica» dell'uomo occidentale, vi gioca ancora un ruolo fondamentale.

Ritiene, però, che la lunga "preistoria" delle chiusure fra le isole culturali, in cui la xenofobia era un riflesso che cementava le tribù, è finita. Anche l'aggressività verso gli altri gruppi aveva avuto senso finché non c'erano le strutture di unificazione del pianeta.  Le minacce alla sopravvivenza dell'umanità unificano il destino di tutti. L'umanità passa dalla fase dell'ominazione alla fase della planetarizzazione.

Questo è il senso colto da Balducci negli itinerari culturali dello strutturalismo di Claude Lévi-Strauss, dell'ecologia della mente di Gregory Bateson, della grammatica generativa di Noam Chomsky

e fonda il suo discorso su quest'anelito verso l'universale. Molte delle sue simbolizzazioni vertono sulla dialettica fra dimensioni particolari e universali dell'uomo.

« Agisci in modo che nella massima della tua azione il genere umano trovi le ragioni e le garanzie della propria sopravvivenza. »

(da La terra del tramonto)

La fede nell'uomo, la considerazione che la specie ha sempre superato creativamente le sfide estreme, la possibilità dell'uomo planetario: tutto questo ha senso, se il senso di appartenenza a una comunità sopranazionale produce un progetto politico planetario.

Come affermava Einstein dopo Hiroshima “o l’umanità cambia il suo modo di pensare o il suo destino è la catastrofe” Quando si tocca una soglia che spinge la saggezza a richiedere la rottura con il passato e, quindi, con l’identità civica e culturale, base della nostra coscienza, c’è necessità di un salto di qualità verso ciò che ieri sembrava utopia. “Dobbiamo morire a noi stessi per rinascere”

-Liberamente tratto da notizie e ricerche effettuate nel web-.

 

I RUOLI DELL'UOMO PLANETARIO (2a parte)

Vediamo ora come l’uomo planetario esprime la sua cultura e quali sono i ruoli che assume compiendo le sue funzioni:

  • ruolo di comunicazione (con persone, gruppi, comunità, istituzioni di altri paesi e regioni del mondo);

  • -ruolo di apprendimento ( acquisizione di conoscenze relative il sistema socio-politico-economico dell’organizzazione internazionale);

  • ruolo di associazionismo transnazionale (da attivare seguendo l’asse nord-sud, est-ovest);

  • ruolo di cooperazione (con individui e gruppi associativi di altri paesi);

  • per i credenti ruolo di ecumenismo ecclesiale (per orientare le strutture ecclesiali alla pratica di convivialità planetaria);

  • ruolo di partecipazione politica popolare internazionale (interventi preparati presso le organizzazioni internazionali, forme di pressione sui governi per orientarli alla pace e al rispetto dei diritti umani);

  • ruolo di convivialità planetaria in casa propria (comunicare, solidarizzare con gli stranieri, creare appositi centri per la tutela ei loro interessi, creare operative italiani-stranieri);

  • ruolo costituente il Nuovo ordine internazionale democratici (progettualità politica da esercitare con ONG, movimenti di studio e di ricerca, università delle varie parti del mondo per creare e gestire organismi planetari dell’associazionismo non governativo);

  • ruolo di disarmo delle coscienze (praticare le obiezioni di coscienza al servizio militare, alle spese militari, alle banche che sostengono regimi razzisti, alla scienza e all’industria asservite ai mercanti di morte);

  • ruolo di formazione planetaria (orientare i programmi di formazione in sede scolastica ed extrascolastica per una pedagogia attiva per i diritti umani e per la pace).

La cultura dell’uomo planetario è nata ventuno anni fa con Ernesto Balducci che ne fu promotore e studioso e del quale parleremo in seguito.

Oggi questa cultura è di un’attualità sconcertante in un momento storico in cui l’urgenza dell’applicazione dei diritti umani è diventata il primo e il più importante dei problemi che affligge tutta l’umanità.

 Vi allego un video di Antonio Papisca (ottobre 2012) dell’Annuario italiano dei diritti umani.

www.youtube.com/watch?v=bXQx_jWV6Dw

Esiste l’uomo planetario? (1° parte)

Oggi i problemi che preoccupano l’umanità hanno una dimensione mondiale e si manifestano nella loro interdipendenza all’interno del sistema planetario: lavoro, risorse, diritti, giustizia, libertà, inquinamento, guerre.

Ci vorrebbe una nuova etica universale concepita però con una nuova forma di pensiero a fondamento di una paidèia più universale. Dobbiamo cominciare a pensare che si debba includere e non escludere, pensare in termini di reciprocità, non di particolarità e di superiorità. Il nuovo imperativo storico è quello di cambiare noi stessi e educarci alla convivialità delle differenze perché siamo legati tutti a un comune destino. Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle loro applicazioni tecnologiche consegna alla responsabilità dell’uomo il futuro dell’intera specie umana e di ogni forma di vita sulla terra. Il prezzo che stiamo pagando per l’abuso delle risorse naturali ci fa capire l’interdipendenza dei problemi legati al nucleare, all’inquinamento, all’effetto serra, alla desertificazione, alla continua distruzione di specie viventi. La soluzione di questi problemi non può avvenire a livello né continentale né nazionale perché le minacce sono universali, come la bomba nucleare, ecologica, biogenetica, etnica e quindi le risposte non possono che essere universali.

 Esiste un uomo planetario? Tempo addietro Antonio Papisca tracciò il profilo di quest’uomo:

-ha il senso esistenziale dell’universalità (J. Hyppolite)

-ha il senso esistenziale della giustizia sociale su scala mondiale, dove le disuguaglianze e gli squilibri sono macroscopici;

-è aperto alla cultura della multietnicità;

-riesce a capire il pianeta e non più soltanto il proprio stato-nazione come spazio vitale di socialità e di politicità;

-capisce che lo spazio planetario deve essere ristrutturato in termini di sussidiarietà;

-esercita il diritto alla pace e il diritto alla partecipazione politica internazionale;

-conosce il Codice internazionale dei diritti umani.

A questo profilo sempre lo stesso Papisca assegnò all’uomo planetario dei ruoli che vedremo in seguito nel dettaglio.

Per ora chiediamoci: -Esiste oggi un uomo planetario o abbiamo solo individui che non hanno ancora né la coscienza della specie né la coscienza dell’habitat? (Angela)

 

Sono l’uomo universo

 

Io sono l’abitante delle pietre

Senza memoria, sete d’ombra verde;

il popolano di tutti i villaggi

e delle prodigiose capitali;

sono l’uomo universo,

marinaio di tutte le finestre

della terra stordita dai motori.

Sono l’uomo di Tokyo che si nutre

di pesciolini e bambù,

il minatore d’Europa, fratello della notte;

l’operaio del Congo e della spiaggia,

il pescatore della Polinesia,

sono l’indio d’America, il meticcio,

il giallo, il nero:

io sono tutti gli uomini.

Sopra il mio cuore firmano le genti

un patto eterno

di vera pace e fraternità.

 (Jorge Carrera Andrade- Ecuador)

 

Biliografia

Antonio Nanni- Educare alla convivialità

LA MONDIALITA’ E’ UN SOGNO?

Viviamo nella società delle differenze, ma con una cultura dell’identità, abitiamo sull’arancia blu ma con una coscienza dello spicchio.

Non v’è dubbio che riceviamo ogni giorno una overdose di informazioni ma questo sta provocando in molti lo stress da villaggio globale, una patologia particolarmente pericolosa che produce fenomeni di egoismo collettivo, xenofobia e bisogno di capro espiatorio.

 Abbiamo di fronte la minaccia di problemi per loro natura planetari ma non abbiamo un governo mondiale: non esistono istituzioni internazionali veramente democratiche e all’altezza del momento storico. In breve l’irruzione dei mille volti dell’altro sta ingenerando nell’opinione pubblica una situazione di disagio, insicurezza, inquietudine, perdita del centro e bisogno di un nuovo radicamento.

Alla luce di tutto questo, il ritorno parallelo dei localismi e dei fondamentalismi appare come il tentativo di rimettere al centro se stessi, di ripartire dalla propria terra, dal proprio gruppo etnico, culturale, religioso, rifiutando quel senso di parzialità e  di relativismo che la nuova situazione storica di globalità e di meticciamento impone di accettare.

Il significato della parola mondialità non è immediato. Appare generico, nebuloso, astratto e, se non viene precisato, non consente di progettare  un serio cammino. Troppo spesso questo concetto è stato trattato in maniera confusa  e anche contradditoria: la mondialità è un modo di sentirsi nel mondo, un modo di vedere il mondo e un modo di vivere in questo mondo.

Il significato più profondo sta nel modo in cui una persona sente di essere parte, gioiosamente è parte di un Tutto, un tutto umano, un tutto cosmico, un’antropologia non dell’individuo ma della persona comunitaria, meglio della reciprocità, dell’interconnessione sistemica fra le parti.

La mondialità è una visione del mondo, della famiglia umana globale come una comunità di popoli, è un modo di vivere il presente con la coscienza di essere responsabili del futuro del mondo.

Mondialità è tutelare il diritto al futuro e in concreto promuovere gesti, stili di vita e modelli di consumo non autoriferiti, ma aperti al futuro dell’uomo e della natura, secondo un modello di sviluppo sostenibile che consente di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza pregiudicare il soddisfacimento delle generazioni future, in sintesi secondo il principio-responsabilità.( Angela)

LA PARABOLA DELL’UOMO (CHE RIMASE ) DIMEZZATO 

C’era una volta una classe in cui gli studenti  contestavano il loro insegnante: perché avrebbero dovuto essere interessati all’indipendenza, ai problemi globali e a cosa gli altri  nel mondo stavano sentendo e facendo?

L’insegnante allora disse di aver avuto un sogno in cui aveva visto uno dei suoi studenti cinquanta anni dopo. Lo studente era arrabbiato e diceva:- Perché ho imparato così tanti dettagli sul passato e l’amministrazione del mio paese e così poco sul mondo?

Era arrabbiato perché nessuno gli aveva detto che da adulto avrebbe dovuto fronteggiare quotidianamente problemi di natura interdipendente, fossero essi problemi di pace, sicurezza, qualità della vita, cibo, inflazione o scarsità delle risorse naturali. Lo studente adirato  trovò che egli era sia la vittima sia il beneficiario.- Perché non sono  stato avvisato? Perché non sono stato educato meglio? Perché i miei insegnanti non mi hanno detto niente su questi problemi e non mi hanno aiutato a capire che sono membro di una razza umana interdipendente?-

Con una rabbia maggiore lo studente gridò:- Mi avete aiutato ad espandere le mie mani con macchine incredibili, i miei occhi con telescopi e microscopi, le mie orecchie con telefonini, radio e sonar, il mio cervello con i computers,  ma non mi avete aiutato ad espandere il mio cuore, il mio amore, il mio interessamento all’intera famiglia umana. Tu ,insegnante, mi hai dato solo mezza pagnotta.-

Juan Rye Kinghorn

QUALE FUTURO ?

Leggendo i diversi articoli che popolano il web, non si può fare a meno di compiere un'operazione di classificazione. Ci sono da una parte gli ottimisti del futuro e gli apocalittici.

Ci sono i futurologi che pensano il futuro in uno schema d'innovazione nella continuità, altri invece rilevano la minaccia di catastrofi di vario genere.

Se ampliamo questa prospettiva, potremmo individuare sette pericoli che minacciano l’umanità e che sono visibili sotto i nostri occhi.

-Pericolo nucleare- Fino ad oggi ci ha fatto paura ed è il pericolo che porterebbe a effetti devastanti immediati, ma l’uomo si sta abituando a conviverci pur sapendo che si sta andando verso l’estinzione della specie.

-Pericolo ecologico- E’ il problema maggiormente in primo piano, tutti lo avvertono come una possibilità reale di autodistruzione ma non si cambia rotta o quantomeno i provvedimenti presi finora sono lenti e limitati.

-Pericolo demografico- In breve tempo sfiorerà gli otto miliardi di persone, anche se si controllano drasticamente le nascite, ma c’è uno squilibrio preoccupante fra nord e sud del mondo.

-Pericolo economico-Dalla Banca Mondiale si hanno cifre sempre più catastrofiche sui debiti dei paesi, soprattutto quelli del sud, ma non è una questione di debito, è il sistema capitalistico e il modello di sviluppo dell’Occidente che sembra senza prospettive e non è applicabile su tutto il pianeta.

-Pericolo etnico- Sono in molti chi richiama l’attenzione sul rischio di un etnocidio perché l’estinzione di minoranze costituisce una vera minaccia per l’umanità.

-Pericolo biogenetico- E’ ancora poco avvertito, ma come si fa a non capire che la tecnica applicata alla genetica apre delle strade ambigue e drammatiche?

-Pericolo migratorio-Siamo al fatto del giorno, il razzismo, la xenofobia, l’intolleranza. I flussi migratori sono destinati a crescere perché il mondo è destinato a divenire multietnico, ma non si possono chiudere le frontiere, anche se è la soluzione invocata dalla maggioranza degli uomini che non vogliono trasformare la presenza degli “altri” in una possibilità di crescita per tutti.

 

La responsabilità di questi pericoli individuati è chiaramente del Nord e mi sorge spontanea una domanda:

-Fino a che punto è giusto che quattro miliardi di persone (terzo e quarto mondo) subiscano gli effetti devastanti di un modello di sviluppo volto e alimentato solo da un miliardo di persone che vivono nei paesi industrializzati del Nord?

E’ questo il nodo decisivo da sciogliere per progettare un futuro in termini di giustizia, di democrazia e di diritto. Partiamo però dal presupposto: ognuno è responsabile di tutto., per dire come diceva Levinas, io più di tutti. ( Angela)